In
Francia, li chiamano clochard. In Italia, uomini senza fissa dimora o, più
comunemente, barboni.
Sono
i dimenticati da Dio, gli ultimi della Terra, “gli zeri del mondo”
(prendendo a prestito una stupenda canzone di Renato Zero), quelli che hanno
perso luce e speranza, quelli che li riconosci dagli occhi vuoti, smarriti…
quelli ai quali il destino ha detto no. E’ di loro, della loro triste e
disumana condizione, che vogliamo parlare.
I dimenticati
Li vedi aggirarsi
per le strade,
notte o giorno
non fa differenza,
senza chiedersi perché,
senza chiederti perché.
Uno straccio
di lana o cotone
li copre
agli occhi della gente,
unghie bordate di rosso,
piedi affossati in scarpe d’un secolo,
barbe lunghe d’anni,
guance rosse d’alcool,
sguardi allucinati
o che chiedono pietà,
occhi persi nel vuoto.
Se ti fanno paura
non è colpa loro,
il destino
li ha esclusi dalla vita.
Li vedi aggirarsi
per le strade,
raramente
in compagnia d’un cane,
molto spesso
seduti nel sudiciume,
ad aspettare
non si sa che cosa,
ad aspettare
che passi il tempo,
perché per loro
non c’è speranza,
per loro
non c’è domani,
loro
sono i residui dell’umanità,
i dimenticati
da Dio e dal mondo,
nati solo
per espiare colpe
di chissà chi.
E se li guardi,
capisci che
anche se non hai niente,
in realtà hai tutto,
hai la speranza,
hai la vita davanti,
loro …..
aspettano sulo ‘a morte!
(Daniela Adamo)
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Qualcuno avrà già storto il naso, qualcuno sarà già passato oltre ma, per
quei pochi - speriamo, in questo, di sbagliarci… - che ancora stanno
leggendo, noi andiamo avanti, perché questi disperati meritano attenzione e,
soprattutto, amore. Sentir parlare di quelli che stanno molto più indietro
di noi, di quelli che non hanno niente, fa ribollire il sangue nelle vene,
fa smuovere le coscienze e dunque è prassi consolidata non pensarci,
rimuovere l’idea e non fermare l’occhio sul poveretto, che magari, fermo
all’angolo della strada, ti guarda senza cercarti niente chiedendoti aiuto
solo con gli occhi, senza più speranza.
Tanto si è fatto per evolversi e modernizzarsi ma ora si è arrivati al punto
in cui questa Società, ormai del tutto computerizzata e internettizzata, che
bada solo al nuovo modello del telefonino, a navigare in Internet, a
corrispondere via e-mail, ha prodotto e produce aridità, indifferenza,
perdita dei rapporti umani, del contatto con la realtà…
Vogliamo raccontarvi la storia di colui che chiameremo, giusto per
identificarlo, Roberto. E’ il nostro “barbone”, quello che occupa un posto
fisso nel nostro cuore. Da più di un anno, Roberto vive sul marciapiede a
tre metri dal nostro palazzo - Napoli, zona Soccavo - seduto sul gradino accanto
all’entrata del Supermercato. Strada centrale - via Garzilli - costantemente
trafficata e percorsa da pedoni, gente della zona (e non) che passeggia o va
a far la spesa al frequentatissimo Market.
Roberto avrà sui 50 anni; per essere un vagabondo è quasi sempre in
condizioni accettabili, non dà fastidio a nessuno, mantiene il suo posto (la
sua casa… due - tre valige arrangiate alla meglio, qualche scatola, un
ombrello) sempre pulito, anzi l’ha anche adornato con un paio di piantine.
E’ una persona discreta, educata; dal suo comportamento si capisce che non è
nato barbone, lo è diventato. Ha raccontato a qualcuno che “prima” era un
medico legale. Credergli? Certo, spesso vaneggia un po’, ma chi, nelle sue
condizioni, la testa non la perderebbe del tutto? Di certo, lavorava ed era
una persona per bene, poi… Roberto non conosce Domeniche, Natali, Pasque,
giorni di pioggia, giorni di afa opprimente. La sua vita è, indistintamente,
il marciapiedi di via Garzilli. Arriva appena spunta l’alba, se ne va
passata abbondantemente la mezzanotte, d’estate anche verso le due, le tre
di mattina. Dove va, è un mistero, sicuramente ad occupare un altro
marciapiedi, magari al coperto. I primi tempi che Roberto arrivò, fu notato
con lo stupore che fa seguito ad una novità; non si riflettè comunque troppo
su di lui perché, si pensò… sarà di passaggio, rimarrà qualche giorno, poi
andrà via. Invece, i giorni si assommavano fino a diventare mesi, mesi che
hanno dato vita a un anno, anno che sta sommando giorni e mesi…Roberto è
sempre lì, bagnato, sudato, malato, disperatamente solo, quella è la sua
casa. I primi tempi, qualcuno si fermava a parlare con lui, qualche massaia
gli portava un piatto caldo, faceva ancora pena…
Ora
Roberto vive dell’elemosina della gente, che raramente chiede, vergognandosi
come un ladro. Se entra in un negozio, è per comprare qualcosa, non per
chiederla in regalo. Se va in un bar a prendersi un caffè, lo paga. Si nutre
quasi sempre di freddi legumi in scatola, senza distinguere colazione,
pranzo e cena. Oggi quasi nessuno fa più caso a lui. E’ normale che stia lì,
anche perché, dicevamo, la sua è una presenza tranquilla, non disturbatrice.
Siamo certi che se fosse stato tipo da arrecare disturbo alla gente, alla
quiete pubblica, si sarebbe smosso il mondo per mandarlo via! Va anche
sottolineato, invece, che il poveretto, soprattutto nelle calde sere e notti
estive, è zimbello di giovinastri senza cervello, senza anima, senza il
diritto di essere chiamati “persone”, che gli passano davanti, rombando in
motorino, sbeffeggiandolo, deridendolo, colpendolo con palloni o quant’altro
hanno alla loro portata, per affermare il senso di onnipotenza intrinseco in
loro, mentre loro… solo per come si comportano, sono in realtà meno di
niente. Colpa certamente, questa, da attribuire ai genitori, ma se
sfondassimo questo muro perderemmo di vista l’argomento in questione… L’unica
arma di difesa di Roberto è la voce, che usa urlando a squarciagola e
appellando i balordi con i peggiori epiteti, forse anche per attirare
l’attenzione, ma quel che ne ricava è solo qualcuno che s’affaccia al
balcone per vedere cosa succede, prima di andare a dormire.
Ci
chiedevamo, continuiamo a chiederci, come sia possibile che si sia fatta
l’abitudine a Roberto… perché proprio questo è successo! Roberto dovrebbe
essere, perlomeno per tutti quelli che lo conoscono, un pensiero fisso ogni
volta che si va a comprare il pane, quando ci si va a prendere un caffè al
bar, quando si va ad acquistare il regalino per l’amica, sempre! La sua
immagine dovrebbe essere davanti ai nostri occhi tutte le volte che ci
sediamo a tavola a mangiare anche un solo boccone, quando, nelle nostre case,
ci scambiamo gli auguri di Natale e Pasqua, sempre! Ma ci pensiamo alla
disgraziata vita di quest’uomo?! Alle sue ossa rotte, perché chissà da
quanto tempo non dormirà in un letto?… Al suo mangiare freddo, crudo, senza
un pizzico d’amore!... A quando sta male e non può rifugiarsi nel calore di
una casa!… Ci chiediamo sempre - e il pensiero ci sconvolge - …dove va quest’uomo
quando –perdonate la crudeltà! - deve fare i propri bisogni! E una doccia,
dove, quando se la fa? Una camicia di ricambio chi gliela dà? Ci pensiamo
mai che Roberto non ha niente di tutto ciò che abbiamo noi, persone civili?
Tutto ciò che per noi è normale, per lui è un privilegio! Quest’uomo non può
mai poggiare la testa sul cuscino, per riposare! E noi come possiamo
addormentarci, far sopire le nostre coscienze?! No, per carità, non ci si
difende dietro la storia che di Roberto è pieno il mondo e noi, da soli, non
possiamo far nulla! E’ vero, la storia di Roberto è solo un esempio, avremmo
potuto raccontare quella di Antonio, di Elvira, di Ciro, di Maria… ma se
ognuno di noi facesse una piccola cosa per il “suo” Roberto, forse la vita
di questi disgraziati sarebbe un po’ più leggera, meno drammatica. Se si
facesse un piccolo sforzo per superare la paura (si, normalmente avvicinare
gli “ultimi” fa paura, mentre spesso, ironia della sorte, sono proprio loro,
abituati ad avere per compagnia la più triste solitudine, ad avere timore
di chi li avvicina!), per essere meno superficiali, forse di Roberto ce ne
sarebbe qualcuno in meno.
Se a
qualche mamma venisse in mente più spesso di regalare a Roberto un piatto
caldo… se i negozianti della zona (principalmente quelli di generi
alimentari) regalassero ogni giorno un prodotto – uno solo, certamente non
li manderebbe in rovina! – a Roberto… se chi gli passa davanti gli donasse
cento lire – abbiamo detto cento lire! – al giorno… se qualche buona
famiglia della zona offrisse un pranzo a Roberto a casa propria, anche solo
una volta al mese… se qualche negoziante che ha locali ampi o qualche circolo
del quartiere decidesse di offrire riparo a Roberto, ad esempio, quando
piove… se poi si superasse solo per un attimo quel non guardarsi in faccia
tanto di moda oggi (frutto di una comunità senza più volto) e si decidesse
– non una persona sola ma tante, tutte insieme! - di fare qualcosa di più
concreto per Roberto, per offrirgli un riparo almeno per la notte, ponendo
il suo caso all’attenzione di assistenti sociali, comunità, centri di
accoglienza… se solo si decidesse di occuparsi seriamente di lui… allora sì,
si potrebbe davvero far pace con la propria coscienza!
Davanti a casi come quello di Roberto, non ci si può trincerare dietro la
noncuranza e l’indifferenza, non si può fare in modo che il suo “caso”, che
lui… divenga consuetudine, che lo si inserisca nel tran tran quotidiano. Il
male di oggi è proprio il guardare in un’unica direzione, l’impoverimento
dello spirito, il fare l’abitudine a tutto e questo deve far paura, terrore!
Vogliamo farvi riflettere solo un minuto ancora… Avete mai pensato, anche
distrattamente, che al posto di Roberto potreste, un giorno, trovarvi voi?
Noi ci abbiamo pensato – ci pensiamo spesso – ed è proprio per questo che
Roberto ci sta tanto a cuore. Meglio non sentirsi onnipotenti, al di fuori
da certe cose. Non si è immuni proprio da niente! La vita può cambiare
all’improvviso, per tutti, senza dare troppi preavvisi. Dunque, se ogni
sera, prima di regalarci il sonno, pensassimo solo per un momento a queste
cose, tristi ma da non sottovalutare, forse diverrebbe assai più difficile
abituarsi a Roberto.
Pubblicato nel mese di Settembre/Ottobre 2000 sul mensile “Proposte di
classe”
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