Il titolo scelto per
l’argomento trattato non è casuale, ma ha lo scopo di riassumere, senza la
presunzione di dare una soluzione definitiva, l’accesa diatriba esistente
nella comunità scientifica, tra i fautori delle intolleranze alimentari e
coloro che, nella maggioranza dei casi, ne negano l’esistenza. Innanzitutto
bisogna fare una netta
distinzione tra
intolleranze ed allergie alimentari:
- allergie alimentari:
sono quasi immediate, si manifestano dopo 2 – 8 ore dall’assunzione anche di
piccole quantità dell’alimento responsabile e scompaiono nel giro di ore o
giorni. Sono dovute alla produzione di anticorpi “Ig E” e si manifestano
sottoforma di reazioni piuttosto “violente” che vanno dalle eruzioni
cutanee, all’edema delle labbra o della glottide con sensazione di
soffocamento, fino allo shock anafilattico;
- intolleranze
alimentari:
sono sempre dose – dipendenti e sono determinate da specifiche molecole
presenti negli alimenti, che per alcuni individui (definiti “intolleranti”
verso i suddetti alimenti) risultano essere tossiche. I sintomi possono
essere i più svariati: dai disturbi gastrointestinali (stipsi, diarrea,
sindrome del colon irritabile, nausea, ecc…) alle congiuntiviti, dalla
cefalea all’emicrania, alla stanchezza, ai disordini del peso corporeo, sia
in eccesso che in difetto.
Le intolleranze
alimentari che mettono tutti d’accordo, ossia che sono ufficialmente
accettate anche dal mondo scientifico, sono quelle relative al latte (in
particolare al lattosio ed alle proteine del latte), al glutine (vedi
celiachia) ed al fruttosio.
Torniamo però alle origini… perchè le intolleranze alimentari o, che dir si
voglia, le reazioni avverse ai più disparati alimenti, sono in costante
aumento?
La risposta, molto probabilmente, è da ricercare nell’enorme evoluzione in
campo alimentare che ci ha accompagnato negli ultimi decenni, soprattutto
nel mondo occidentale. Basti pensare alla diffusione dei fast-foods e alla
globalizzazione che ha invaso prepotentemente le nostre tavole: ma questa è
solo la punta dell’iceberg. La crescita esponenziale della popolazione
mondiale ha fatto sì che il piccolo produttore venisse tagliato fuori dal
mercato alimentare a favore delle grosse multinazionali, intente a produrre
ed a conservare sempre di più gli alimenti. E’ nata così l’esigenza di
creare alimenti sempre più resistenti alle condizioni climatiche avverse e
ai parassiti e sempre più appetibili sia nel gusto che nell’aspetto, per
soddisfare qualità e quantità. Il risultato di tutto ciò sono gli alimenti
“geneticamente modificati”, gli alimenti ricchi di coloranti, conservanti,
fitofarmaci, antiparassitari, esaltatori del sapore e chi più ne ha più ne
metta!
L’organismo umano, però, non si è evoluto di pari passo: in misura variabile
tutti paghiamo le conseguenze del “progresso alimentare”. Il fatto che il
nostro organismo in alcuni casi reagisca in maniera più o meno evidente alle
“nuove sostanze alimentari” considerandole sostanze estranee e addirittura
nocive, può essere molto evidente nei soggetti celiaci.
Essi sono intolleranti al glutine, una proteina contenuta in alcuni cereali
(grano,
farro, segale, orzo, avena, ecc.) e manifestano in modo palese la
loro avversione, con reazioni gravi, tali da provocare danni consistenti
all’organismo, quando il glutine viene introdotto in esso con la dieta.
Anche in questo caso l’evoluzione ed il progresso alimentare hanno giocato
un ruolo determinante se si considera il fatto che per millenni l’uomo
viveva di caccia, pesca e raccolta di frutta e verdura e non era solito,
quindi, utilizzare il grano per alimentarsi. Tale abitudine, infatti, si è
radicata grazie all’industrializzazione, ma non tutti gli organismi umani
sono riusciti ad adattarsi a questa “nuova” proteina e quelli che non ci
sono riusciti, oggi sono definiti “celiaci”.
Un altro fattore importante che sicuramente contribuisce alla formazione di
un organismo umano sempre meno resistente agli agenti esterni, è
rappresentato dalla minor frequenza con cui si allatta al seno; i primi mesi
di vita, infatti, sono quelli nei quali si sviluppa e diventa funzionale
l’apparato gastrointestinale. Se il latte materno è sostituito
prematuramente o da subito con latte vaccino o di altra provenienza, si
possono creare i presupposti affinché il neonato diventi più sensibile nei
confronti di alcuni alimenti.
Alla luce di tutto questo, non possiamo puntare il dito contro coloro che
hanno cercato di racchiudere tutti i fenomeni di reazioni avverse
(spiegabili più o meno scientificamente), che accompagnano l’introduzione
dei più svariati alimenti (e non!) nel nostro organismo, sotto il nome di
“intolleranze alimentari”. I test attualmente in commercio per valutare la
presenza di un’eventuale intolleranza alimentare sono molteplici: si va da
quelli di misurazione della tensione muscolare (Metodo Kinesiologico, Ring
test, DRIA test, ecc.) a quelli che prevedono l’utilizzo di una piccola
corrente elettrica che attraversa il corpo (test EAV, VEGA test, ecc.) o
l’utilizzo di un campione di sangue per valutare modificazioni, a carico dei
leucociti (test citotossici) o la presenza di anticorpi di tipo “Ig G” (test
immunoenzimetrici); tuttavia la loro affidabilità è molto discutibile in
quanto, in alcuni casi è determinante la bravura dell’operatore che
interpreta i risultati, in altri si ha una sovrastima per cui si risulta
intolleranti a più alimenti.
Possiamo quindi concludere che è auspicabile il prosieguo delle ricerche
volte al perfezionamento dei test, in modo da renderli efficienti
nell’individuazione di molecole specifiche, presenti negli alimenti,
responsabili dell’insorgenza delle intolleranze, piuttosto che degli
alimenti in toto.
Nel frattempo però, l’unico rimedio, con tutti i suoi limiti finora
evidenziati, è quello di procedere all’esclusione dell’alimento incriminato,
nei modi e nei tempi dettati dagli operatori nel settore.
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